Vedere l'orizzonte per pria volta
Vedere l’orizzonte per pria volta
rende la rossa emozione mitica,
e scorger la natura che ascolta,
selvaggia, inebriata e unica,
somiglia al primo giorno di vascello:
quando gli intestini si contorcono
per lo sbendato e visibile ocello
smerigliato del capo; si torcono
dall’odor greve giammai conosciuto
del mar fermo e della brezza portuale;
e più ancor se si riceve dal muto
marinaio di tolda, il gestuale
ordine di mollare gli ormeggi.
Senza conoscere il significato
del suo cenno e delle ignorate leggi,
resto a metà, sorpreso e affaticato
dal peso di cotanto sacrificio,
sperando che sia l’eccezione grave
a regola del confermato ufficio
agevole, quotidiano e soave.
Ricordo da giovane le avventure
trascorse coi primi amici e compagni,
diventate poi memorie future
paragone dei miei trascorsi sogni.
Tutto sta in testa e nella mia fantasia
che crea miti e ostacola l’arido
vero, oggetto di scempiaggine e bugia.
Il pensier finto però resta acido
e bagnato1.
Guastato per la muffa,
il ricordo confonde le figure,
l’immaginazione diventa zuffa
e io resto a contemplare le mie paure.
Dunque spiegato il motivo delle mie
scritture in versi: vorrei tornare al tempo
delle vergini onde, delle spume pie,
per vivere in poesia, al contempo,
il senno con l’irruenza, l’esperienza
con la gioventù. Per non stare mite,
appeso qui al boma della violenza,
a vedere il mare che inghiotte vite
giovani, fin troppo, senza anamnesi.
Che risveglio c’è a tre anni? Manca il mito,
resta solo un osservare indifesi,
un vedere l’orizzonte infinito,
eterno. E pure il rimpianto d’amare
un’esistenza sputata via dalle onde
giace vuoto sulla riva del mare,
accanto a una voce che non risponde.
[1] “La fantasia è un posto dove ci piove dentro” (Calvino, Lezioni americane, p. 83). ⇑